Questo testo ripercorre la storia dell’insediamento ebraico nelle città del litorale toscano nei secoli della prima età moderna. Per sfuggire alle Inquisizioni di Spagna e Portogallo, infatti numerosi conversos (gli ebrei costretti a diventare cristiani dalla persecuzione spagnola nel XV-XVI secolo) avevano accettato l’invito dei granduchi di Toscana a insediarsi nel paese. Alcuni arrivarono come cristiani nuovi e si inserirono con ruoli di prestigio quali professori universitari e giudici di Rota, pur condividendo vita e aspirazioni della Nação (la “nazione”, come chiamavano in portoghese la comunità cui si sentivano di appartenere). Altri si integrarono e finirono con l’ottenere titoli nobiliari. Nella maggior parte si presentarono come ebrei e fondarono la Nazione di Pisa e di Livorno con il privilegio di non essere chiusi in ghetto e poter acquistare proprietà immobiliare. A Livorno si costituì, a partire dalla fine del Cinquecento, una delle comunità sefardite più dense e vivaci d’Europa. Gli ebrei mercanti e imprenditori si dedicarono ai commerci, producevano ed esportavano merci come il corallo e importavano nuovi generi di consumo come il tabacco, promossero l’attività di una stamperia a caratteri ebraici e stabilirono reti mercantili e intellettuali a largo raggio. I documenti tratti dagli archivi toscani e da quelli dell’Inquisizione permettono di cogliere uomini e donne alle prese con i problemi dell’integrazione e della coesistenza. Ne deriva un quadro denso, mosso e variegato, della Nazione di Livorno, studiata anche nelle sue tensioni interne e nei rapporti con i poteri civili e religiosi.
384 pp.