Il volume analizza il rapporto tra politica, scienza e tecnologia nel settore degli armamenti durante il regime fascista in Italia (nel decennio 1935-1945) da vari punti di vista: oltre a ripercorrerne tappe e protagonisti principali nei diversi campi (dall’aeronautica alla marina, dalle telecomunicazioni all’industria chimica applicata) l’autore presta particolare attenzione agli aspetti della costruzione dell’immaginario collettivo collegato al tema della potenza militare e industriale. Di fatto questo portò all’impostazione di un apparato di comunicazione. L’incontro tra scienza e potenza, tra istituzioni di ricerca e sviluppo della pratica bellica, costituisce una eredità essenziale dalla Grande Guerra. La consapevolezza di tale fusione e dei suoi paurosi, o magici, contenuti, appartiene all’intero contesto europeo ed anima, con segni diversi, tanto le ipotesi operative e dottrinali dei teorici della guerra tecnologica, quanto le politiche nazionali della scienza quanto, infine, le attese ed i timori delle popolazioni nel ventennio interbellico. In questo contesto, alla scienza ed a particolari applicazioni della tecnologia bellica si attribuivano virtualità insieme terribili e liberatorie, tali cioè da decidere con magica rapidità delle sorti di un eventuale conflitto, attraverso una irruzione improvvisa e risolutiva sul campo di battaglia o sul corpo vivo del nemico. Il mito di armi decisive scaturite direttamente da applicazioni belliche di scoperte o invenzioni impensate è parte di quel clima e percorre contesti sociali e nazionali diversi per almeno un decennio prima della nuova guerra mondiale. La dimensione carismatica del potere mussoliniano troverà in questa risorsa prodigiosa uno dei suoi elementi di base.
308 pp.