«Per eliminare dalla circolazione gli scrittori ebrei, ebraizzanti, o comunque di tendenze decadenti, occorre impartire ai direttori di giornali e riviste, e agli editori un ordine perentorio e preciso, compilando una lista di autori da evitare». Con questa indicazione riservata, dell’aprile 1938, Mussolini e il ministero della Cultura Popolare davano avvio in Italia alla bonifica degli «scrittori ebrei», in largo anticipo rispetto alle prime vere e proprie leggi antiebraiche emanate cinque mesi dopo. Fu una vicenda censoria poco lineare, ma preparata a lungo; formulata come un’iniziativa «culturale» o «spirituale», in breve si trasformò in un’operazione puramente razzista che coinvolse editori, librai, autori. Venne messa in atto con estrema riservatezza, tanto che per ricostruirla è stato necessario consultare numerosi fondi archivistici e bibliotecari, italiani e stranieri. Al termine, ottenne risultati assai efficaci e destinati a riflettersi sulla cultura italiana del dopoguerra.
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