Questo libro (primo di due volumi che raccolgono diversi saggi sul tema dell’antigiudaismo all’antisemitismo) tratta le manifestazioni dell’antigiudaismo nel mondo antico, greco e romano, e nell’Europa medioevale fino alle soglie dell’età moderna. Uno dei nodi sui quali s’interroga la storiografia contemporanea è infatti quello dei rapporti di continuità tra la millenaria discriminazione nei confronti degli ebrei e i movimenti antisemiti dell’Ottocento e del Novecento. La cultura antica ha prodotto una vasta gamma di stereotipi antiebraici, destinati a durare nel tempo. Il rifiuto del particolarismo ebraico (ebreofobia, giudeofobia, antigiudaismo), nei secoli precedenti l’era volgare, costituì un supporto di forte rilevanza, sul quale il cristianesimo poté più facilmente sviluppare la propria percezione negativa nei confronti degli ebrei. Le accuse di deicidio, di omicidio rituale, di usura, i massacri di massa durante le crociate, l’imposizione del segno distintivo, come pure eventi di valore epocale, quali l’inquisizione, la cacciata dalla penisola iberica e l’istituzione dei ghetti, sono i tragici riscontri storici di un’avversione, che ha condizionato nei secoli la vita degli ebrei nella diaspora europea.
«Ha schernito la mia nazione, s’è messo di traverso nei miei affari, ha gelato i miei amici, ha riscaldato i miei nemici. E tutto questo perché? Perché sono un ebreo. Un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, membra, sensi, affetti, passioni? Non si nutre dello stesso cibo, non è ferito dalle stesse armi, non va soggetto alle stesse malattie, non si guarisce con gli stessi mezzi, non ha il freddo dello stesso inverno e il caldo della stessa estate d’un cristiano?» (W. Shakespeare, Il mercante di Venezia, atto III, scena I)
128 pp.