Dalla fine del Cinquecento, Venezia ospita l’insediamento degli ebrei “ponentini”, ovvero di quegli ebrei che erano stati cacciati dalla Spagna e dal Portogallo dopo il 1492. A questa comunità si affianca una presenza, esigua ma significativa, di mercanti di origine portoghese che, pur essendo per la maggior parte nuovi cristiani, venivano percepiti come marrani, ovvero ebrei che continuavano la professare la loro fede nonostante la conversione al cristianesimo. Origine e idioma comuni, pratiche sociali ed economiche condivise definiscono una sfera preferenziale di rapporti ruotante intorno alla “portoghesità”. Tutti utilizzano un nome cristiano, parlano portoghese, instaurano rapporti commerciali e di parentela preferibilmente tra loro: si riconoscono come membri della nazione portoghese, a Nação, espressione che coniugava insieme a una specifica provenienza geografica la connotazione socioprofessionale e quella religiosa. Le due componenti tesero col tempo a confondersi, tanto da essere percepite come un gruppo unico, formato esclusivamente di ebrei ponentini. Lo studio delle pratiche di interazione e di integrazione di questi mercanti consente di evidenziare il ruolo cruciale dell’appartenenza simbolica e affettiva a una dimensione che trascende le coordinate di tempo e di spazio usate tradizionalmente per le comunità mercantili. Al tempo stesso porta a riflettere sulla posizione occupata da Venezia nella nuova geografia politica ed economica del Seicento, restituendole un ruolo tutt’altro che marginale.
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