Un libro che si occupa in modo approfondito della figura e della produzione poetica di Sara Copio Sullam, importante figura della cultura veneziana del primo Seicento. L’opera letteraria della poetessa nasce dal suo desiderio di raggiungere la fama nel mondo culturale dell’epoca per compensare, in tal modo, lo stato di inferiorità sofferto come donna e come ebrea, reclusa entro il ghetto e infrangere, così, le mura della segregazione. Unendosi al tentativo di mediazione tra lo spazio interno del ghetto e le prospettive esterne operato, al suo tempo, da una minoranza intellettuale del quartiere ebraico veneziano, la Copio seppe fondere nei suoi sonetti e nella prosa del suo Manifesto (in cui si difese dall’accusa di non credere all’immortalità dell’anima intentatale polemicamente dal colto ecclesiastico Baldassarre Bonifacio, che ne frequentò per un certo arco di tempo il salotto letterario della poetessa) le esperienze della cultura contemporanea e la tradizione dei padri, nell’intento di conseguire almeno nella città delle lettere la dignità e la libertà continuamente negate dall’emarginazione sociale imposta dalla Serenissima. I ripetuti inviti alla conversione, però, e le costanti accuse dei suoi interlocutori costrinsero i suoi versi a trasformarsi, con il tempo, in vere armi di difesa dell’ebraismo e della moralità di chi, come lei, vedeva contratta ogni reale possibilità di dialogo con la società circostante: testimonianza dell’incapacità di un’epoca di comprendere le ragioni dell’altro o di chi era ritenuto inferiore o diverso.
168 pp.