Immaginiamo un uomo nato cieco che, diventato adulto, inizi improvvisamente a vedere. Sarà capace di distinguere un cubo da una sfera grazie soltanto allo sguardo e dunque senza l’uso del tatto? Questa domanda, nota come Quesito di Molyneux, è stata al centro di un interessante dibattito. Formulata alla fine del Seicento, ancora oggi suscita interesse. Inizialmente furono i filosofi a cercare di rispondere, ma successivamente, con la scoperta di nuove tecniche chirurgiche per intervenire sulla cecità congenita, ad essa ci si è applicati anche in ambito medico. Ad oggi, però, una risposta basata su risultanze empiriche ancora non è stata trovata. Ed è probabile che non la si potrà mai trovare. Attraverso un’analisi comparativa dei casi di cecità congenita, o dalla prima infanzia, operata in età adulta l’autrice dimostra come sia difficile formulare generalizzazioni riguardo alle capacità percettive dei soggetti esaminati. La loro situazione risulta essere ben diversa da quella di cui parla Molyneux. Il passaggio dalla cecità alla visione, che egli ipotizzava come immediato, si è rivelato, in realtà, molto più complesso. Occorre dunque modificare l’approccio al quesito attribuendogli i connotati di un esperimento mentale. Lungi dal ridurne l’importanza una tale impostazione apre viceversa nuove strade, sollecitando l’attenzione anche di psicologi cognitivi ed ontologi.
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