ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2014
ISBN: 9788871582085
Prezzo: 25 Euro

Contesti 3. Rivista di microstoria (2015)

Autori: AA.VV.

Rivista di microstoria

Periodico semestrale
ISSN 2284-1954

“Contesti”, semestrale di microstoria, si propone come un esperimento, un tentativo di cogliere la complessità attraverso l’analisi delle relazioni e degli scambi, spesso nascosti, fra uomini, gruppi sociali, istituzioni. La sua finalità è la ricostruzione di contesti non necessariamente caratterizzati dalla condivisione di un preciso spazio geografico: a definirli sono le connessioni, esplicite o sotterranee, di cui si può provare la pertinenza. La rivista intende indagare la natura e la trasformazione dei fenomeni sociali mettendo l’accento sulla continua interazione fra scelte personali e strategie politiche, meccanismi economici e circolazione di idee, sistemi culturali e comportamenti individuali. Aperta ai contributi di ogni disciplina, presenta in ogni numero tre distinte sezioni: un corpo di ricerche; una intervista a studiosi che hanno innovato i paradigmi scientifici del loro campo di studio; una sezione di discussioni su un saggio, un’opera letteraria o cinematografica che ha scandagliato nuove possibilità d’analisi e di racconto della realtà sociale.A partire da questo numero apriremo ogni volume con una breve introduzione volta sì a presentare i contenuti degli articoli, ma soprattutto a costruire uno spazio di confronto con chi ci segue e con chi ci ha fatto pervenire impressioni, opinioni, suggerimenti e critiche. In questo spazio rifletteremo sulle osservazioni ricevute, risponderemo alle domande formulate e spiegheremo, dunque, le nostre scelte editoriali. Perciò, affronteremo fin da subito una problematica che è emersa chiaramente dal dialogo con i nostri lettori: la lunghezza dei saggi. La scelta di ospitare articoli molto lunghi differenzia Contesti dagli standard di molte altre riviste italiane e internazionali ed espone la rivista al rischio di scoraggiare un pubblico di potenziali lettori abituati a una impostazione editoriale più immediata e a modelli di scrittura scientifica ormai classici. Tenteremo dunque di giustificare la nostra decisione di perseverare nella strada già intrapresa e di pubblicare anche in questo numero saggi di una dimensione inconsueta per una rivista scientifica. Nella presentazione del primo numero, intitolata Ai nostri lettori, abbiamo sottolineato con forza il carattere sperimentale dei contributi accolti e il nostro intento di sondare metodi e percorsi differenti da quelli già seguiti dalla storiografia. Ma per muoversi nelle insidiose acque dello sperimentalismo occorre mollare gli ormeggi, e non solo quelli metaforici: concedere maggior spazio agli autori vuol dire permettere di raccogliere tutti gli elementi sufficienti a giustificare tematiche, interpretazioni e percorsi di ricerca che si fregiano di un certo grado di originalità. La disponibilità a ospitare, entro certi limiti, alcuni saggi fuori formato potrebbe avere un ulteriore vantaggio e contribuire a una ripresa del dibattito sulla scrittura scientifica. Come viene suggerito a più riprese da Giovanni Levi nell’intervista pubblicata in questo numero, e come ha contribuito a sottolineare la sempre più diffusa “public history”, gli storici dovrebbero recuperare la capacità di comunicare a un pubblico più vasto di quello specialistico e trovare il modo di inventare nuovi linguaggi espositivi, in linea con nuove modalità di comunicazione e di ricerca. Pur restando all’interno di un prodotto tradizionale qual è una rivista di settore, abbiamo dunque provato a ridurre le barriere tra gli specialisti e i lettori non accademici adottando una maggiore elasticità sia rispetto ai formati comuni di scrittura scientifica, sia rispetto ai linguaggi adottati nell’esposizione. Crediamo infatti che l’imposizione di modelli troppo rigidi condizioni e limiti la creatività degli autori, i quali invece devono ritenersi liberi di proporre i loro articoli utilizzando vari tipi di scrittura. C’è infine un’ultima ragione che giustifica la pubblicazione di saggi di diversa lunghezza e con stile differente: il carattere interdisciplinare della rivista. L’unione tra la sperimentazione e l’interdisciplinarietà richiede un confronto non solo sulle metodiche concernenti la ricerca, ma anche sullo stile espositivo, che spesso rappresenta il punto di contatto più immediato tra le diverse discipline. E difatti, i testi che pubblichiamo in questo secondo numero sono, come da programma, eterogenei non solo per i temi trattati – scelta che risponde alla logica di una rivista non monografica – ma anche negli stili adottati dagli autori. Il saggio di Renata Ciaccio, che parla dell’integrazione delle comunità valdesi in Calabria tra Cinquecento e Seicento, ha un’esposizione tipicamente microstorica e fa ampio uso di traiettorie individuali e casi familiari. Il saggio di Davide Tabor, che studia la rilevanza dei networks nella comunicazione politica, è maggiormente ispirato agli strumenti di indagine sociologica, politologica e antropologica, che ne influenzano lo stile espositivo. Il saggio di Fulvia Grandizio, che studia la negoziazione dello spazio urbano, segue un modello analitico attento al dettaglio e alla narrazione che permette di dare la parola a tutti i personaggi della storia raccontata, e lascia soprattutto al lettore il compito di apprezzare l’intenso e minuzioso incrocio delle fonti che ha permesso di ricostruire dinamiche complesse. Nell’intervista di questo numero, Giovanni Levi si sofferma anche sulla comunicazione e sul rapporto degli storici col pubblico, mentre la discussione di Barbara Mann, che parte da una serie di documentari del regista israeliano Amos Gitai, è l’esempio di un incrocio tra scrittura letteraria e domande storiografiche. I contributi sono dunque diversi per tema e per stile; si può tuttavia evidenziare l’esistenza di alcuni fili rossi che legano tra loro alcuni di essi. Le due discussioni avviate da Ida Fazio e Luciano Allegra a partire dai recenti volumi “L’economia di Dio e I pochi eletti” avanzano una critica alle interpretazioni generaliste che sono debolmente, scarsamente o per nulla fondate su un’attenta analisi contestuale e tuttavia pretendono di estendere le loro considerazioni ad ambiti assai vasti. Una tale obiezione è connaturata alla natura stessa della nostra rivista, così come lo è il legame che accomuna i saggi che partono, appunto, dall’esame dei rapporti sociali, familiari e comunitari per rispondere a domande sociali, politiche e relative allo spazio. Infine, è proprio di spazio, del suo uso e della sua negoziazione che trattano l’articolo di Fulvia Grandizio, esempio di intersezione tra la storia politica, sociale e dell’architettura, e la discussione di Barbara Mann, che presenta invece un tema storico di cogente attualità tramite un linguaggio letterario.Formata da un gruppo di storici per lo più giovani, «Contesti» si propone come un esperimento, un tentativo di cogliere la complessità attraverso un’analisi in profondità delle relazioni e degli scambi, spesso nascosti, fra uomini e fra istituzioni. La sua finalità è la ricostruzione di specifici contesti, non necessariamente caratterizzati dalla condivisione di uno spazio definito, ma definiti dalle connessioni, esplicite o sotterranee, di cui si può provare la pertinenza. Ispirata ai metodi della microstoria, «Contesti» intende indagare i fenomeni sociali come esito dell’interazione continua fra scelte personali e strategie politiche, meccanismi economici e circolazione di idee, sistemi culturali e comportamenti individuali. Aperta ai contributi di ogni disciplina, presenta in ogni numero, a cadenza semestrale un corpo di ricerche di prima mano, dedicate a casi di studio che spaziano tanto nel tempo quanto sotto il profilo geografico; una intervista a studiosi che hanno innovato i paradigmi dei loro rispettivi campi di studio; una sezione di discussioni incentrate su un’opera letteraria o cinematografica, o un saggio, che ha scandagliato nuove possibilità d’analisi della realtà sociale.

229 pp.

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Cinzia Bonato è dottoressa di ricerca in storia moderna. I suoi interessi spaziano tra la storia sociale e quelle dell’assistenza, della criminalità, della povertà e del lavoro. Fa parte del comitato di redazione di «Contesti. Rivista di microstoria».Tra le sue pubblicazioni: L’assistenza come risorsa. Il caso genovese (2009); Una riflessione sulla categoria “generazione”. La rinegoziazione del concetto di onore a Genova nel XVIII secolo (2013); La circolazione dell’informazione nel XVIII secolo e il successo della legge genovese sui parti illegittimi (2014); Des familles aux institutions d’assistance médicale : parcours volontaires, parcours obligés (Gênes, XVIIIe siècle) (2014); Sulla storia. Intervista con Giovanni Levi (2014); Le locande della solidarietà (Genova, XVIII secolo) (2015); Dal documento al racconto. La storia tra attività scientifica e divulgazione (2015).

Davide Tabor è dottore di ricerca in storia contemporanea e collabora col Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino. Nei suoi studi si è dedicato in particolare ad analizzare la politica da una prospettiva sociale. Tra i suoi indirizzi di ricerca ci sono: l’adesione e l’opposizione degli individui al fascismo, la partecipazione dal basso alla politica, la relazione tra locale e nazionale nella costruzione delle culture politiche, le politiche pubbliche dell’abitare, le forme di trasmissione dei valori tra le generazioni, la composizione dei gruppi sociali. Ha pubblicato vari saggi, tra cui: Operai in camicia nera? La composizione operaio del fascio di Torino, 1921-1931 in «Storia e problemi contemporanei», n. 36, 2004; Luoghi della memoria: uso simbolico dello spazio urbano nella periferia torinese. 1880-1906 in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», vol. XVII, 2009; Il popolo alle urne. Un’analisi del comportamento elettorale a Torino tra la fine dell’Ottocento e la Grande Guerra in «Quaderni Storici», n. 1, 2011; L’arte della propaganda. Il modello di proselitismo del Psi tra fine Ottocento e inizio Novecento, in «Contemporanea», n. 4, 2011; Giovani partigiani e legami intergenerazionali. Una mappa generazionale del artigianato torinese, in «Quaderni di Storia Contemporanea», n. 53, 2013.